L’Alpe della Luna, scrigno d’acque e sorgenti
Uno dei principali elementi che caratterizza il territorio dell’Alpe della Luna e di Badia Tedalda è la presenza dell’acqua, in tutte le sue forme: sorgenti, torrenti, fossi, cascate. Dalla dorsale, ricoperta di boschi con piante secolari se non millenarie (nei dintorni di Pratieghi è presente il Tasso, pianta sempreverde che arriva a superare i 2mila anni) nascono il Marecchia (M. della Zucca 1263 – m. slm), il Metauro (M. Maggiore – 1384 m. slm) e il Foglia (M. Sovara – 1003 m. slm). L’acqua, dunque, come elemento fortemente caratterizzante un triangolo di terra che abbraccia Toscana, Romagna e Marche e che ha unito in una commistione di cultura e storia popolazioni dell’Italia centrale fin da epoche remote: dagli Etruschi agli Umbri, dai Piceni ai Romani.
Il Marecchia
L’antico Ariminus nasce nella fitta macchia dell’Alpe della Luna, in una splendido contesto naturale popolato da cervi, caprioli ed aquile. E dopo un percorso di circa 80 Km, tra un rincorrersi di colline e speroni di roccia, sfocia nell’Adriatico in due rami, di cui uno è il porto-canale di Rimini. A carattere torrentizio, presenta un letto generalmente ciottoloso, con una notevole portata d’acqua sotto il substrato del letto di scorrimento (alcune foci escono lontano dalla costa, formando polle di acqua dolce). Da non perdere la cascata che il suo affluente Presalino forma poco distante da Badia Tedalda.
La valle che attraversa è racchiusa fra Toscana, Marche, Repubblica di S. Marino ed Emilia Romagna: un territorio singolare, che ha in Badia Tedalda il suo avamposto. Da sempre realtà di confine e teatro di lotte e di contese, è stato però anche fonte di ispirazione per numerosi poeti: dal sommo Dante a Tonino Guerra, da Pier Vittorio Tondelli ad Ezra Puond. Un territorio ancora oggi caratterizzato da rocche, castelli, pievi, musei che ricordano la forza dei Montefeltro e dei Malatesta e che conservano al tempo stesso anche molte testimonianze della tradizione francescana.
Un territorio diventato immortale grazie ai paesaggi rinascimentali disegnati da Piero della Francesca e Leonardo da Vinci. Un territorio che non ha perso la memoria delle sue tradizioni, a cominciare da quelle enogastronomiche; come non ricordare due veri e propri “gioielli” custoditi dalla terra quali il Tartufo e il Formaggio di Fossa? (quest’ultimo nel giorno di S. Caterina – dopo 100 giorni di stagionatura – viene estratto da antiche fosse di tufo).
Tra i luoghi di maggior interesse ricordiamo Santarcangelo (capitale della poesia dialettale romagnola e di antiche fiere), Verucchio e la sua Rocca Malatestiana; la fortezza di San Leo, celebre per aver ospitato la prigionia dell’alchimista Cagliostro (e dove S. Francesco ricevette in dono il Monte della Verna). E poi Pennabilli, borgo medievale e Museo diffuso del Maestro Tonino Guerra, Badia Tedalda, capoluogo dell’Alpe della Luna, con la sua natura incontaminata, i suoi borghi, le terracotte robbiane. S. Agata Feltria, uno dei borghi medievali più caratteristici del Montefeltro, con il Teatro ligneo più antico d’Italia. Casteldelci, paese natale di Uguccione della Faggiola, capo dei Ghibellini d’Italia. Talamello paese del formaggio di fossa (qui chiamata Ambra di Talamello). Novafeltria, con il Museo storico minerario di Perticara.
Il Foglia
Citato come Isaurus dal poeta latino Lucano (39-65 d.C) segnava anticamente il confine settentrionale del territorio occupato dai Piceni. La sorgente si trova nei pressi del centro abbandonato di Monte Fortino, uno dei feudi dei conti di Montedoglio (dal 1277 degli abati di Badia Tedalda). Tra le sorgenti e Sestino il fiume attraversa un ambiente poco antropizzato e di notevole interesse, formato da boschi di caducifoglie, prati e campi incolti. In quest’area, l’alveo è scavato su substrato relativamente stabile, formato da roccia, massi e ghiaie. Più avanti le sue acque – calme quasi tutto l’anno – si presentano ricche di fanghi e materie organiche. E sebbene buona parte della vegetazione originale sia sparita, alcune specie continuano a crescere proprio grazie alla disponibilità di acqua: pioppo nero, salice, canna domestica, cannuccia di fiume (qua e là anche piante da frutto, residuo degli orti che fino a pochi anni fa occupavano il letto di piena).
Molte le opere di interesse storico e artistico lungo la vallata; sulle sponde del fiume fino a poco tempo fa esistevano percorsi che portavano dal centro di Pesaro fino alla diga di Mercatale, in vista della fortezza di Sassocorvaro. Più a monte, la splendida torre cilindrica ravennate di Monteromano (IX secolo), testimonianza della dominazione bizantina. E poi i ruderi dell’antico castello di Lunano, alle pendici del Monte Illuminato, il piccolo borgo fortificato di Auditore (famoso per la lavorazione del bronzo), e il borgo medioevale di Monterone.
Non vi è certezza sul perché il fiume abbia assunto il nome di Foglia; al riguardo esistono diverse leggende popolari, e tra le più note vi è quella di Folìa e Mutino. Secondo tale leggenda, tanto tempo fa in un luogo chiamato La Cupa – non molto distante dalle sorgenti – viveva una giovane bellissima di nome Folìa. Era una ninfa fluviale, dedita alla magia. Aveva un viso stupendo, incorniciato da una fluente chioma nera che le accarezzava il lungo collo e poi scendeva giù, a coprire le sue forme seducenti. Un ragazzo che abitava i boschi della Cantoniera, di nome Mutino, decise un giorno di cambiare la sua abitudine di bagnarsi nel Marecchia e di tuffarsi, per una volta, in quelle dell’Isauro, proprio dalle parti della Cupa. E’ qui che i due si incontrarono e si innamorarono l’uno dell’altra. Ma l’amore fa sognare ad occhi aperti e… distrae dalle cose della vita quotidiana. Fu così che Folìa – distratta – commise un errore nel realizzare un filtro d’amore, e quando assaggiò l’intruglio i suoi capelli si ingrigirono, la carne avvizzì: si era trasformata in una vecchia strega. Tentò di rimediare, ma invano. Allora, disperata, si nascose alla vista di tutti. Ogni sera, per anni, le grida disperate di Mutino la cercarono, ma lei non rispondeva. Si limitava a piangere, sempre più triste. Poi un giorno capì che in un amore vero ci sono anche le lacrime, e proprio una lacrima era quel che mancava al suo filtro. Preparò di nuovo la pozione magica, ne bevve, e tornò bella come prima. I due amanti poterono quindi incontrarsi di nuovo, e per sancire l’unione diedero i loro nomi al fiume Foglia e all’affluente Mutino. E ancora oggi le acque di questi due corsi d’acqua si sfiorano come dita di amanti, per poi unirsi e correre insieme al mare.
Il Metauro
Con i suoi 121 km è il fiume più lungo delle Marche. Il nome deriva dalla fusione dei due rami sorgentizi principali: i torrenti Auro e Meta (il primo dei quali ha la sua sorgente proprio sotto il M. Maggiore, nel cuore dell’Alpe della Luna). Un altro fosso, chiamato Meta, discende dalle pendici del Poggio della Regina a Montelabreve, e confluisce nell’Auro all’altezza dell’antico ed oggi diruto mulino di Gorgo Scura. Fra gli affluenti. da segnalare il Candigliano, noto per il famoso tratto della Gola del Furlo. Nel territorio di Badia Tedalda, inoltre, va ricordato il Fosso delle Cannucce, caratterizzato da piccole cascatelle, pozze naturali e sorgenti solfuree, che sale fino al Colle Quarantelle (1022 m. slm) con un percorso tra boschi di straordinaria bellezza, ricchi di vegetazione e fiori spontanei (diverse varietà di orchidee selvatiche).
In generale, il fiume offre molte varietà di forme e paesaggi: le sue acque dorate formano gorghe, cascate, marmitte, canyon. A Sant’ Angelo in Vado troviamo la “Balza del Metauro”, la sua cascata più grande: alta 12 metri e larga 60, è considerata tra le dieci più belle d’Italia. Seguono le “Arenarie di Urbania” (pronunciati meandri di rocce arenacee), e poi la profonda frattura che spacca la roccia e scende sotto il fiume – tra terrazzi pensili – a Fossombrone. E ancora: La Riserva Naturale della Gola del Furlo, in cui il Cansdigliano – affluente del Metauro – crea un canyon stupendo (oggi anche oasi protetta per aquile, daini, alci e caprioli). Ed infine, prima di arrivare al mare, il bosco della Torre Romana, rifugio di aironi e del martin pescatore.
Fin qui la natura, ma parlare della valle del Metauro significa anche parlare di una storia plurimillenaria. Queste terre sono attraversate da una delle strade consolari romane: la Flaminia. I romani, in effetti, vi hanno lasciato un segno profondo, edificando domus e terme ancora oggi visitabili, ed altre opere architettoniche importanti: acquedotti ponti, mura, gallerie, archi trionfali. Ma soprattutto, il Metauro è ricordato in tutti i libri di storia per la battaglia che nel 207 a.C. (durante la II guerra punica) vide la prima vittoria per Roma e l’uccisione sul campo di battaglia di Asdrubale. Tra Medioevo e Rinascimento, poi, il territorio sarà costellato di fortezze, per opera dei Malatesta. Ma l’assetto militare di tali castelli si trasforma ben presto grazie ai Montefeltro, ai Della Rovere e al Rinascimento Urbinate: palazzi, piazze, vie, chiese sono rifatte a partire dal concetto di città ideale di Piero della Francesca. In tal senso, questo territorio è senz’altro uno tra i più importanti in Italia, con città d’arte ricchissime di bellezza e di cultura rinascimentale.
NB – Per visitare le sorgenti dei tre fiumi ci sono diversi percorsi trekking per i quali si consiglia di chiedere informazioni agli Uffici della Pro Loco di Badia Tedalda.